Oliviero Beha per Libero del 24 maggio 2009---------------Caro Giampiero (Mughini) parapragmatico,la tua recensione del mio saggio “I nuovi mostri” in forma di lettera su questo giornale, sabato scorso, ha toccato le corde della stima, dell’amicizia e del tempo. Ricambio tutto ciò con calore riandando diacronicamente agli ultimi trent’anni abbondanti della nostra vita. Fin qui però sembrerebbe una privatissima cosa tra noi, tu dannunziano istrione da palcoscenico intellettualmente onesto tripartito tra Marlowe (Christopher), Amedeo Nazzari e Aldo il Biscardo, ed io Zorro senza maschera appiedato con una regolarità commovente probabilmente perché privo di una seconda identità,alla Diego De la Vega: roba che sfiora la migliore produzione di sempre di Michele Serra,purtroppo mai più eguagliata, quella del memorabile “E chi se ne frega”, vedi “Cuore” di tanto tempo fa.
Ma il pretesto della tua lettera è invece il mio libro, sul quale dici di concordare per metà. E qui la cosa ha qualche valore pubblico nel merito, oltre la scherma delle parole. Tralascio, per non infierire in tedio, la parte in cui sei d’accordo con il libro,a proposito delle mie
tesi sulla poltiglia culturale della sedicente “ seconda repubblica”, e vengo rapidamente al 50% di supposto disaccordo. Articolato da grossista in tre punti: Sandro Curzi, Antonio Di Pietro,i giornalisti /il giornalismo.Nel primo capitolo de “I nuovi mostri”, intitolato “Il punto di vista della bara” e ambientato appunto nella sua ultima casa,la cassa orizzontale, dalla quale partecipo alle esequie capitoline insieme al defunto, non smalto di elogi Curzi come “intellettuale moderno” come parrebbe da quello che scrivi.Lo prendo invece a metro di misura, pretesto e paradigma di che cosa è un intellettuale oggi (un nuovo mostro in rilievo nel sistema mediatico) e di che cosa invece secondo me dovrebbe essere.Il punto di vista della bara è inteso appunto come metafora di un ideale di gratuità, disinteresse personale, autonomia, indipendenza dagli schieramenti pro o contro Berlusconi,cioè quelli che hanno ridotto l’informazione sul Paese e quindi anche il Paese stesso in una landa irriconoscibile.In sintesi: a metà degli anni ’80 Cesare Romiti diceva testualmente “ I giornalisti prima di parlare di libertà di stampa dovrebbero tirarsi su i pantaloni”.Oggi, dopo quindici anni di maggioritario applicato da straccioni tecnologici mentalmente e professionalmente da parte della nostra categoria,io integro quel Romiti d’antan con un “dovrebbero tirarsi su i pantaloni, le gonne, le gonne-pantalone e togliersi l’elmetto dei due colori”. La lunga ricostruzione che faccio dei tempi scalfariani di prima del Berlusca che hanno partorito l’Imperatore e le sue schiere e le schiere contrarie, dovrebbero far pulizia di ogni pregiudizio su di me, ossia del classico “da che parte stai”: dalla mia,perbacco, dal punto di vista della bara intesa come uno che non ha niente da nascondere o da difendere.Le pagine su Curzi sono funzionali a tutto ciò.Dunque su questo siamo d’accordo, anche se non ti sembra.Sei in accordo involontario, ed è giusto che io ti avvisi…La valutazione che do nel libro di Di Pietro nel capitolo “Professionisti dell’anti-casta?”, titolo che è un riconoscimento all’uomo di Montenero come “unica opposizione” ma anche una messa in guardia preventiva sui rischi e la scivolosità di tutto ciò (alla Sciascia dei “professionisti dell’anti-mafia”), è assai più articolata della tua, e allude a un generale declassamento della legalità in questo Paese che culturalmente recede alla velocità del suono, con o senza Berlusconi. Declassamento della cultura, della legalità, della cultura della legalità.Quindi sui valori di Di Pietro (cui peraltro non ho mai fatto sconti, cfr. il mio “Italiopoli” con relativo capitolo sulle sue peripezie immobiliari) siamo in disaccordo.Resta, a proposito della tua lettera affettuosa, il (para)pragmatismo drammaturgico con cui circoscrivi la nostra decaduta professione: per te nella sostanza siamo idraulici, elettricisti, carpentieri, o poco più, alle prese più con il nero dei “senza fattura” che con il 740 degli impiegati.O forse siamo ormai non solo fiscalmente le due cose insieme. Tutto bene, se non fosse che attraverso l’indipendenza dell’informazione si gioca la partita della democrazia informata, oggi secondo me “svenuta” per come ne parlo ne “I nuovi mostri”.Dove però attribuisco a intellettuali (ormai inesistenti e travestiti da giornalisti), colleghi e sistema mediatico,una sorta di Moloch che tutto divora, molta più responsabilità che non all’idraulico (italiano,non polacco) o all’impiegato.Quindi effettivamente abbiamo dei punti di dissenso poggianti però su una piattaforma emotivo-esistenziale accettabilmente comune.E’ abbastanza questo dissenso, e i temi cui si riferisce, per farne oggetto di un pubblico dibattito in un Paese rapito assai più dalle notizie sul caso-Garlasco che non da quelle sul caso-Mills, forse per eccesso delle prime e per difetto delle seconde?