di Annalisa Casciani
L’AQUILA – Oliviero Beha, uno dei vincitori della 10^ edizione del premio letterario Laudamia Bonanni, giunto all’Aquila per la premiazione al Ridotto del Teatro Comunale, ha effettuato, questa mattina, una lunga e vissuta passeggiata nei luoghi simbolo e i più colpiti, in compagnia dell’assessore alla Cultura e alle Politiche sociali del Comune dell’Aquila Stefania Pezzopane, la “Zona rossa” della città dilaniata dal sisma del 6 aprile 2009.
“Un conto è vedere le cose in televisione o anche soltanto i video su youtube, un altro è vedere con i propri occhi quello che è successo nella ‘zona rossa’, ma anche solo venire in macchina fino qui, passare tra case normali, sì lesionate, ma che sembrerebbero aver bisogno di poco per essere rimesse a posto, fa impressione. E, al primo impatto, l’effetto per uno che viene da fuori, è dire ‘perché stanno ancora così?’”.
È quanto ha commentato Beha davvero molto colpito dalla distruzione e dalla non ricostruzione della periferia aquilana.
Beha è un giornalista e uno scrittore, dissacratore di molti templi sacri della politica, del calcio e della cultura italiana, che nei suoi libri attacca senza mezzi termini e favoritismi. Ultimamente ha pubblicato libri sulla ricostruzione, paragonando la ricostruzione del secondo dopoguerra e la ricostruzione oggi, non solo quella materiale dell’Aquila, ma anche quella morale ed etica dell’intero Paese.
Senza peli sulla lingua ha risposto alle domande che i giornalisti gli hanno voluto porre su temi cocenti dell’attualità aquilana e italiana.
Venendo all’Aquila pensava di trovare qualcosa di diverso? Ad esempio i lavori a uno stato più avanzato? La ricostruzione già a buon punto?
L’Aquila fa impressione. Vederla in televisione o farci trasmissioni sopra, come io ho fatto, e venire e vedere, nel viaggio in macchina verso il centro storico, delle case che avrebbero bisogno di niente per essere messe a posto e sono ancora così, fa impressione.
Stiamo parlando di case qualunque, non del Duomo, dei bar, dei monumenti e delle chiese del centro storico. La domanda è perché sono ancora così e se in un altro paese sarebbero ancora così.
Sta alludendo al Giappone?
Lì c’è una legge sulla costruzione antisismica di 50 anni fa. Il parallelismo tra Giappone e Italia è tenuto in poco conto.
Sono gli unici due paesi che, nel secondo dopoguerra, sconfitti entrambi, seppure usciti dal conflitto in modo diverso, in una generazione sono passati da una dimensione agricola a una industrializzata, ma, poi, nel 1961 il Giappone ti fa una legge sulla costruzione antisismica e noi ancora a penare con la commissione “Grandi rischi” e i postumi di Bertolaso?
Le inchieste della magistratura pesano sui cittadini aquilani, a partire dalla grandi rischi, oggi c’è stata la seconda udienza, e poi quella su fondi Giovanardi, i fondi per il sociale. Che cosa ne pensa?
La magistratura fa il suo lavoro, il problema sono i tempi della giustizia. Non tocca a me giudicare la qualità del loro lavoro, sulla celerità dell’opera della magistratura invece si può dare un giudizio. Queste cose servono per definire le responsabilità e ci servono anche da lezione. Con le calamità ci si combatte da sempre ma che, nel 2011, in una parte sofisticata del mondo, si debba sottostare alle calamità, come 100 o 200 anni fa, è spaventoso. Se qui fosse successo un quarto di quello che è successo in Giappone, non parleremmo più dell’Abruzzo, non solo dell’Aquila. Questo fa effetto e mi tocca non solo professionalmente, mi tocca personalmente.
Il processo della commissione “Grandi rischi” potrebbe essere epocale?
I processi in Italia si fanno a vari livelli: il processo vero e proprio della magistratura, il processo della sensibilità comune, qui la “Grandi rischi” fa molto più effetto che non a Caltanissetta, poi, al terzo livello, il processo mediatico.
Ci spieghi meglio…
Ormai in un paese dove non funziona niente, la stampa, in un modo o in un altro, con la cosiddetta “gogna mediatica” si sostituisce alla magistratura. Qualcuno che è già stato condannato (dalla stampa ndr.), risulta innocente in termini giudiziari e qualcuno che invece magari se la cava in termini giudiziari, avrà responsabilità pubbliche enormi, le cose si mischiano un po’.
Comunque la sensibilità comune chiede una giustizia più efficiente e rapida e anche una diversa etica pubblica. La storia di quelli che ridevano al telefono (durante il terremoto dell’Aquila del 2009 ndr.), forse ce la stiamo dimenticando, ma è una fotografia della mancanza di morale e di etica di un paese di sozzoni. Secondo lei la ricostruzione lenta dipende da un modo di fare tipicamente italiano o è per la mancanza di fondi? Le due cose sono collegate. Da un lato, tutti portano l’esempio dell’Italia della ricostruzione del secondo dopoguerra, quelli erano italiani come noi, erano i nostri genitori, dall’altro, ci sono condizioni generali. Adesso sono condizioni generali mancanti di morale, di etica, di socializzazione pubblica, e quindi il problema dei soldi arriva con questo discorso, ci sono soldi per le altre cose e non per questo.
Che cosa pensa dal punto di vista giornalistico, sull’informazione e sulla disinformazione che è stata fatta nella nostra città dopo il terremoto e sul terremoto?
Purtroppo le due cose collegate. Un’informazione corretta e puntuale e non commissionata aiuta nella risoluzione dei problemi. Questa necessità non è solo per l’Aquila. L’informazione è deformata in tutto il paese.
Secondo lei è troppo quello che si dice o quello che si tace?
Più quello che si dice male! Dire male le cose e non collegare le tessere del mosaico, se uno racconta una tessera e non le altre e non la mette vicine, non si vede nulla, non si capisce più nulla, è quello che sta facendo l’informazione.
L’informazione tace, da che mondo è mondo. La Stampa, che è ritenuto un buon giornale, poteva parlare di tutto, meno della Fiat. Il rapporto tra potere, controllo editoriale e politico dell’informazione e l’informazione stessa c’è sempre stato. In Italia si sente molto. C’è mancanza d’informazione su cose che ci potrebbero interessare davvero, ci sono troppo interessi a non farcele sapere. I miei colleghi, da 20 anni, pensano che valga la pena di prendere una posizione, stare con Berlusconi o contro di lui. Come posso pensare di raccontare tutto quello che so di Berlusconi e non quello che so di Bersani e di D’Alema, l’informazione dovrebbe parlare di tutto, sennò non è informazione, è torta dimezzata.
L’Aquila è sempre stata una città culturalmente attiva. Adesso che sono venute a mancare le infrastrutture storiche della cultura, il Teatro Comunale ad esempio, crede che L’Aquila potrà continuare a essere un luogo d’attrazione per artisti e intellettuali?
Me lo auguro. Laddove non c’è, immediatamente, la possibilità di ritrovare i luoghi pratici e simbolici della cultura, uno se li deve reinventare. Una piazza vale, quanto, se non di più, del teatro che c’era prima, questo se il bisogno di cultura non è posticcio o fittizio, ma autentico.
Di cultura, non dico alta, di cultura in generale, bassa, media, cultura popolare, il Paese ne ha bisogno. Io scrivo nei miei libri che L’Aquila è una metafora del paese intero, per il terremoto con tutto quello che ha comportato drammaticamente, politicamente, economicamente, L’Aquila andrebbe presa a pantografo di una situazione italiana. Il terremoto è stato qui, non dappertutto, ma dobbiamo ragionare come se il paese fosse un paese terremotato, con le carriole alla mano, ridarsi da fare.
A proposito di cultura, nei suoi libri parla spesso del problema della cultura italiana. Pensa che in Italia ci sia una cultura libare e militante, oppure che sia limitata dai paletti che mette la politica e l’opinione pubblica?
Non basterebbero i paletti della politica se non ci fosse un degrado generalizzato. L’Italia è il paese in Europa che dà i segnali più gravi di un analfabetismo di ritorno, qualcuno che era alfabetizzato, adesso non lo è più o lo è di meno.
Noi siamo all’avanguardia, in testa al gruppo, la Leadership l’abbiamo noi.
Lei ha partecipato alla manifestazione del 15 ottobre di Roma. Crede che prima delle violenze fosse una manifestazione valida?
Sì, lo penso anche per il futuro, qualcuno deve trovare il modo di manifestare e il modo di conservare le stesse manifestazioni.
Sabato scorso era chiara, e su commissione, una distorsione delle Forze dell’ordine, che, con un po’ di astigmatismo, vedevano da una parte e non dall’altra, c’era un problema oculistico, perché ci vorrebbe un buon oculista per questo paese.
È impensabile che, mentre il “palazzo” fa le sue porcate, la “piazza” non risponda. Da che mondo è mondo, il “palazzo” e la “piazza” sono collegati, come nelle città del Medioevo, la “piazza”, luogo pubblico, teneva insieme il potere laico del “palazzo” e quello religioso della Chiesa, in questo paese è sparita la “piazza”, va fatta rinascere dalle sue ceneri.
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