È morta l’altra notte Danielle, la vedova di François Mitterrand, una stagione importante all’Eliseo, più alto dell’attuale inquilino, titolare della famosa “politique d’abord”, la politica prima di tutto. Curioso ripensarci oggi: nell’ultimo lustro non si è fatto altro che parlare di anti-politica a partire almeno dai “Vaffa Day” di Beppe Grillo (mentre l’omonimo Luigi, politico di professione immagazzinava condanne penali), fino a che, stremata dai suoi eccessi politicamente inconcludenti e giudiziariamente rilevanti, adesso la politica qua da noi, in Italiopoli, è sospesa, supplita dai “tecnici”.
La politica politicante ed esercente, è ovvio, quella che la cronaca ormai quotidianamente rivela essere stata in questi anni ciò che tutti sospettavamo ma non veniva detto, almeno non abbastanza: dai fronti politici perché cane non morde cane in una complementarietà mostruosa, alla latina… dai media perché dichiaratamente timorosi di querele o intimidatorie minacce di, in realtà perché schierati e dipendenti. I servi servono, è sempre Totò il massimo teorico del nostro costume di casa. Quindi la mitterrandiana “politica prima di tutto” si era mutata in un’altra cosa. Anche se retoricamente gli affaristi della politica dicevano ogni bene di essa intesa nobilmente, come a proposito del “re nudo” della fiaba.
Ci pensavo alla presentazione dell’ultimo libro di Sergio Zavoli, stilisticamente ammirevole e contenutisticamente interessante, un’autobiografia piena di cose e persone, “Il ragazzo che io fui”. Mi stavo domandando come avesse fatto a mantenersi a distanza dagli schizzi di fango della palude italiana dopo tanti anni di vertice professionale, manageriale e politico, circondato da armadi che producevano scheletri a getto continuo, quando con la solita intelligente e cardinalizia compunzione l’autore ha cominciato a parlare di politica e anti-politica. Non si fosse trattato di lui, avrei chiuso il collegamento auricolar-mentale: come dicevo, da anni sparano contro l’anti-politica figure e figuri che hanno trasformato la politica, in ogni suo luogo istituzionale, in un indegno suk, screditando (eufemismo!) una dimensione umana che ipocritamente a parole difendevano.
Ma Zavoli era shakespearianamente un uomo d’onore, e andava ascoltato non foss’altro perché non aveva macchie e nessuno aveva mai potuto infilarlo nel noto tritacarne fangoso che ci tiene svegli. Il succo era che i partiti sono insostituibili, che sparare contro la politica in modo indifferenziato come fa l’anti-politica porta poi all’azzeramento dei partiti in un partito solo, che poi sono guai grossi, storia alla mano. Ho riepilogato rozzamente. Ebbene, non penso che i partiti vadano sostituiti dai supermercati, ma penso che tale sortilegio abbiano tentato di fare con più che discreto successo non le belve dell’anti-politica (le “agenzie del risentimento” le chiamava Peppe D’Avanzo) bensì proprio quella stessa classe politica intrisa di reati penali, di un deficit spaventoso di etica e di un’ignoranza inimmaginabile. Parlare di anti-poltica per “questa” politica è insieme fuorviante e pericoloso: fuorviante appunto perché si eleva a politica nominale ciò che sostanzialmente è diventato “cupola” di interessi che di politico ha ormai poco più che lo scudo parlamentare, pericoloso perché comunque il rischio di travolgere tutto c’è, eccome. Forse a politica andrebbero accostati altri sostantivi: l’impolitica etimologicamente rivisitata come ingenuità, il “nascere liberi”, cioè una natura politica non guastata dalla degenerazione del consenso a tutti i costi, dentro la politica, al servizio della politica, e non il contrario. Oppure la pre-politica: da quanto tempo non ci domandiamo quale sia la reale condizione umana prima della politica di chi poi fa politica, quale il suo spessore, la sua qualità, il suo essere migliore degli altri ecc.? Altrimenti anche degne persone come Zavoli rischiano di lasciare in eredità gusci vuoti, una specie di “la politica dopo di tutto” anche se definita stancamente con le stesse formule. Non sarebbe peggio?
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