Uno dei pochi vantaggi dell’età è dato forse dalla relativa facilità di calarsi in tempi remoti ma non lontanissimi, come invece riesce difficile fare per un giovane. Ci pensavo mettendo insieme due elementi apparentemente assai eterogenei: l’articolo con cui ieri sul Fatto Quotidiano Travaglio meritoriamente polverizzava la tanto contestata (dagli uomini di buona volontà) Riforma del Senato evidenziandone le deleterie conseguenze pratiche nel cammino legislativo; e la giornata dedicata sabato scorso a Cogne alle “Repubbliche partigiane” del ’44, nel settantesimo anniversario di quell’esperienza. Studiosi e partigiani sopravvissuti, anzianissimi ma energici al punto che scommetterei su di loro in un “braccio di ferro” letterale con il Calderoli di turno, convenuti a raccontare, discutere, ricordare quella pagina di storia patria.
Perché dunque i due elementi sono solo apparentemente distanti, al di là del lasso di tempo quasi trigenerazionale che li divide? Perché non c’è niente di meglio di una ripassata storica davvero “nostra” per toccare con mano gli effetti nefasti della suddetta Riforma. A giustificazione della quale sono stati addotti paragoni e confronti che farebbero arrossire di vergogna uno studioso o un politico se la vergogna fosse ancora un aspetto fondativo degli studi e della politica. Per esempio è stato detto soavemente dal Circolo Picwick dei Riformatori che anche la Germania ha una “Camera” scelta dai “laender”: ma essa è uno Stato federale mentre costituzionalmente “la Repubblica italiana è una e indivisibile”. Oppure che anche l’Inghilterra ha una “Camera dei Pari” non eletta direttamente dal popolo. Peccato che l’Inghilterra non sia uno Stato, mentre lo è invece il “Regno Unito” di Gran Bretagna (l’insieme di Inghilterra, Galles e Scozia) e Irlanda del Nord. In più dopo la riforma del 1999 questa “Camera” non ha più funzioni legislative ma solo giurisdizionali (che il nuovo Senato non ha) e infine, leggerissima nota a margine, l’Inghilterra è una Monarchia… Torno alle “Repubbliche partigiane”, chiamate storiograficamente così per semplificare, nate e morte nel ’44 dopo settimane o mesi quando i rastrellamenti tedeschi come un’onda di risacca le travolsero.
In tutto il Nord Italia, e a Cogne e in Piemonte in particolare come la giornata di studi ha sottolineato, queste “Repubbliche” sono state l’alveo della prima Italia del dopoguerra, distinguendo tra il braccio militare dei partigiani e il braccio politico di una società civile in embrione al risveglio, dopo vent’anni di dittatura, una guerra e una guerra civile. La Costituzione italiana oggi in grande pericolo si è abbeverata a queste esperienze. A Cogne partigiani come Saverio Tutino (sua figlia Barbara con l’Anpi e i Musei di Cogne si è fatta carico della manifestazione), Franz Elter, Giulio Einaudi, Giulio Dolchi, Giuseppe Cavagnet, solo per citarne alcuni, hanno contribuito a questa fase storica di cui ormai c’è poca traccia, se non di nicchia. La domanda è come si possa oggi quasi senza colpo ferire buttare all’aria un passato valoroso, un complesso di ideali libertari e democratici, delle formule di governo dal basso che hanno creato la piattaforma per l’Italia della Ricostruzione. Adesso la baionetta della fretta, della superficialità e dell’oblio è rivolta da una pattuglia di “giovani” reificati al potere in quanto tali contro la memoria di come eravamo. Non sfiora – pare – l’interesse di nessuno il fatto che magari allora fossimo/fossero migliori, non un peso da rimuovere sul sentiero di una democrazia autentica e aggiornata bensì una molla in più, da non tradire ma da consegnare anche a questa generazione. Lo so, Calderoli sghignazzerà su questo, ma corre il rischio che secondo le migliori tradizioni della casa una sghignazzata lo seppellirà…
Oliviero Beha, Il Fatto Quotidiano
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